Quando Mariagrazia Toscano ci ha inviato questo suo articolo sugli antichi mestieri romani, la prima cosa che ci è venuta in mente leggendolo, sono stati gli splendidi acquerelli del grande Ettore Roesler Franz.

In particolare, ovviamente, i famosi acquerelli della bellissima raccolta Roma Sparita, realizzata tra il 1876 e il 1895 (molti dei quali conservati all’interno del Museo di Roma in Trastevere). Una raccolta non solo di vere e proprie opere d’arte, ma soprattutto di preziose testimonianze storiche, che raccontano in modo straordinario la Roma di fine ‘800.

Per questo motivo, abbiamo deciso di accompagnare l’articolo di Mariagrazia con alcune delle evocative opere di Ettore Roesler Franz.
Buona lettura e buona visione!

I venditori del pesce al Portico di Ottavia in un acquerello di Ettore Roesler Franz.
Questo acquerello fa parte della prima serie della raccolta Roma Sparita.
Roma sparita: gli antichi mestieri

Cogliere la ricchezza e la grandiosità del tempo ormai andato consente di far percepire appieno come l’onda viva del passato giunga in realtà fino ad investire il tempo presente. Forse sono così vivamente attaccata ai ricordi che custodisco gelosamente dentro di me, come in un prezioso scrigno, perché sono l’unica cosa che di sicuro nessuno potrà mai togliermi, assolutamente!

Sì, proprio così: a volte basta un semplice accenno al tempo che trascorre inesorabilmente per far ritornare alla mente un ricordo lontano, di un preciso momento storico, come nel caso degli antichi mestieri di Roma di una volta, scomparsi con lo sviluppo tecnologico e con il passare del tempo di cui mi hanno parlato emblematiche persone del secolo scorso ormai lontano e tutt’ora presente in me, così vive e ricche di significato; e il mio messaggio di nostalgia e malinconia, misto ad affetto e simpatia che le accomuna, è immortale… i ricordi del cuore non muoiono mai, rimangono sempre con noi!

C’era una volta il carnacciaro, o anche detto carnicciaro o carnecciaro, ossia il venditore ambulante di carne per gatti. Egli passava per le vie della città nelle prime ore della mattina, portando in equilibrio sulla spalla un bastone ricurvo in cui ciondolava la mercanzia.

Il pettinaro, colui che faceva o vendeva pettini di avorio, ebano o legno per capelli, per pettinare durante la lavorazione i lini e le sete.

Il coronaro, ossia il venditore di oggetti sacri e corone religiose in particolare, sulla strada che porta a San Pietro.

Via dei Coronari

Ricordo personalmente il bigliettaio, figura cara ai cittadini romani, magari un po’ burbero con qualche ragazzino indisciplinato, ma capace di esprimere un’autorità simile a quella di un buon padre di famiglia, mettendo tutti d’accordo all’interno degli autobus nel pagare il biglietto, senza il quale non si viaggiava.

Il bottaio, costruire botti è una vera e propria arte che consente, assicurano gli intenditori, di conferire al vino il giusto sapore. Il mestiere è però tra quelli che lo sviluppo tecnologico ha definitivamente condannato alla scomparsa. Ormai i recipienti in legno, tra l’altro sempre più spesso prodotti industrialmente, sono utilizzati solamente per vini e liquori pregiati. Per gli altri vengono invece impiegati contenitori di materiali differenti, vetroresina in particolare, più economici e durevoli ma anche più leggeri ed agevoli da pulire.

Il doratore, occorrono una pazienza ed una grazia fuori dal comune per riuscire ad applicare su legno, appositamente preparato con un lungo ed accurato procedimento, quelle particolari foglie di argento ed oro zecchino talmente sottili che si accartocciano ad ogni minimo movimento, e che persino un respiro fa volare via. È quindi sorprendente la disinvoltura degli artigiani più esperti, la naturalezza e la padronanza con cui usano queste lamine che solo una lunga pratica permette di tenere a bada.

I doratori (o indoratori, come erano definiti un tempo), abili sopravvissuti di un’attività in passato particolarmente florida a Roma, sono oggi sempre più rari. E’ comunque possibile trovare ancora, nei rioni storici della città, alcune botteghe dove sono “curati” candelieri, cornici ed altri oggetti in legno dorato e laccato.

Il cesellatore, l’arte del cesello nasce quando l’uomo, scoprendo il metallo ed il modo di fonderlo, servendosi di attrezzi da lui stesso creati con materiali più duri, realizza oggetti di uso pratico come le armi per la caccia o per la difesa. In seguito, migliorando nella tecnica di lavoro, crea oggetti con funzioni religiose e di ornamento personali, realizzando così i primi gioielli. Nei secoli, dalle varie civiltà, sono arrivati a noi autentici capolavori di questa meravigliosa arte. Esemplari unici, realizzati spesso con tecniche a noi sconosciute.

La cesellatura, fin dai tempi più antichi del suo utilizzo, è stata usata in vari settori: oreficeria, argenteria, decorazioni delle armi, in campo religioso, eccetera… per poi arrivare, in tempi più moderni, all’abbellimento di oggetti comuni a uso casalingo. Il primo utilizzo del cesello risale alla notte dei tempi, e ancora oggi è impossibile stabilire una data alla quale si possa riportare i primi passi di una creazione artistica mediante questo strumento.

Vicolo delle Palline in un acquerello di Ettore Roesler Franz.
Questo acquerello fa parte della Prima Serie della raccolta Roma Sparita.

Il ramaio, un’altra figura quasi scomparsa è quella del ramaio, o calderaio, un autentico artista che da un semplice foglio di rame sapeva tirar fuori pentolame di ogni grandezza e varietà e tanti altri oggetti di ogni tipo. Per farli si serviva del rame.

Il rame si acquistava in fogli, si aggiustava tagliandolo con grosse cesoie e si batteva a caldo con il martello, aiutandosi con forme di vario tipo, a seconda del lavoro che si voleva realizzare. Man mano che il lavoro procedeva si saldavano i bordi tra di loro. Il lavoro era faticoso, perché bisognava battere il rame finché era caldo, non si poteva far freddare, ed anche perché si usavano sovente martelli grossi e pesanti. La bravura dell’artigiano si constatava dallo spessore del manufatto, che doveva essere uniforme, dalla forma ben aggraziata e dalla precisione delle rifiniture.

Il conciapelli, si tratta dei lavoratori del settore conciario: si occupano della prima lavorazione e rifinitura del cuoio, delle pelli e delle pellicce, che portano a diverso grado di rifinitura per la confezione di capi e complementi di abbigliamento ed accessori.

Il mestiere della concia delle pelli, attribuita nel passato ai conciapelli, esiste ancora oggi, ma a livello industriale, nelle specifiche aziende conciarie, come per la carta o le stoffe.

Il barcarolo, “Er barcarolo va contro corrente” recita la nota canzone Barcarolo Romano, musicata e cantata da Romolo Balzani, interpretata pure dal famoso Lando Fiorini. Questo mestiere ha accompagnato le vicende cittadine per secoli, quando il biondo Tevere era utilissima via di comunicazione cittadina non solo per la gente ma anche per le merci.

In città esistevano i barcaroli, che traghettavano i passeggeri lungo il corso del Tevere, quelli che svolgevano il servizio di attraversamento da sponda a sponda e quelli che risalivano il fiume per portare le merci ad Ostia fino in città.

Il Porto di Ripetta in un acquerello di Ettore Roesler Franz.
Questo acquerello fa parte della Seconde Serie della raccolta Roma Sparita.

Il pizzardone, per chi non è di Roma la parola stessa risulta incomprensibile. Ma per i romani significa una sola cosa: vigile urbano. La parola deriva dalla pizzarda, un cappello a doppia punta, una davanti e l’altra dietro, che indossavano sulla testa i membri della polizia municipale romana verso la fine dell’ottocento.

La divisa ottocentesca, che prevedeva, giubba di panno nero, larga cintura di cuoio verniciato, sciabola e stivaloni, è andata via via modificandosi nel tempo fino all’attuale uniforme, con camicia bianca e pantaloni neri. E poiché quel particolare cappello faceva pensare un po’ anche alla forma della fontana di Piazza di Spagna, la cosiddetta “barcaccia”.

Giubbonari, prese il nome dagli artigiani e dai mercanti di gipponi.

E che dire del termine “zoccolette” , una specie di calzari, somiglianti agli zoccoli, utilizzati dalle orfanelle ma che molto probabilmente si riferisce proprio al termine romano che sta ad indicare la prostituta? Era opinione comune che queste, una volta dimesse dal conservatorio, non avessero altro destino che quello del marciapiede!

C’era una volta… direbbe qualcuno di voi, ma sebbene oggi viviamo in un ambiente profondamente ed irrimediabilmente diverso per usi e costumi, logorati dai ritmi sempre più stressanti che la quotidianità ci impone la vita di quei personaggi sopra le righe che esercitavano quegli antichi mestieri, oggi non farebbe più notizia certamente. Sono stati dei veri e propri miti che neppure a cercarli col lanternino si avrebbe più la possibilità di intravedere, così stravaganti e genuini con alle spalle delle curiosissime storie, dalle quali traspare l’umanità dei romani.

Mariagrazia Toscano



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